Il pomodoro. Elemento immancabile all’interno della tradizione culinaria italiana e prodotto nazionale per eccellenza, è apprezzato in tutto il mondo in piatti come la pasta e la pizza. Ma siete davvero sicuri di conoscere la sua storia? In fondo, il pomodoro è un’eccellenza italiana, farà parte della nostra agricoltura dall’inizio dei tempi... O no? In realtà, il pomodoro fa la sua comparsa in Europa nel 1520 quando Hernàn Cortès, condottiero spagnolo, tornò dalla recente scoperta America con alcune piantine fino ad allora sconosciute. Nel 1544, il botanico Pietro Andrea Mattioli, scrisse per la prima volta di un frutto simile alla melanzana, di color giallo o rosso, che poteva essere mangiato condito con sale, pepe e olio. Il nome del frutto venne scritto solo 10 anni più tardi: “pomo d’oro”, frutto dorato. Nonostante Mattioli ne avesse attestata l’atossicità, molte furono le ricerche svolte per comprenderne le proprietà. Il botanico Pietro Antonio Michiel definì il pomodoro dannoso per la testa, generatore di cancro e febbri persistenti e il cui solo odore causerebbe malattie agli occhi, mentre altri studi definirono il pomodoro semplicemente povero di proprietà nutrizionali. In questi anni, l’uso in cucina era limitato, considerato poco più di una stravaganza culinaria. Dalla metà del ‘600, l’atteggiamento nei confronti del pomodoro cambiò, rivalutando la sua acidità come utile alla digestione. Dalla Spagna arrivarono nuove ricette, mentre un emergente mercato chiedeva condimenti saporiti senza l’uso di spezie. Bisogna aspettare il 1772, però, prima che il pomodoro venga inserito nella lista dei vegetali: prima era catalogato come pianta ornamentale. La sua reputazione soffriva ancora di alti e bassi: lo chef Vincenzo Corrado, sebbene lo definisse buono da mangiare, preparava i suoi piatti stando attento a rimuoverne la pelle e i semi mentre, nel 1796, un trattato agricolo rassicurava gli Italiani sulla sua commestibilità. In Sardegna nacquero i primi processi utili alla conservazione del prodotto: il primo prevedeva l’essicazione al sole dei pomodori da poi grattugiare e usare come condimento, mentre il secondo si basava sulla preparazione di una pasta (conserva nera) da abbinare a zuppe e carni. Nel XIX secolo la svolta: nel 1813, un botanico toscano affermò che il pomodoro fosse ormai comune, coltivato in tutti i mercati e in tutti gli orti. Nel Meridione, il pomodoro era tutto ciò che i poco abbienti riuscivano a coltivare negli aridi mesi estivi. Il loro consumo era “a crudo”, nonostante diversi trattati specificassero che il pomodoro si sarebbe dovuto prima cuocere. In questo periodo nacquero e si diffusero anche le due ricette sopra citate: la pizza e la pasta al pomodoro. Ma c’è di più. Non solo c’era un nuovo uso del pomodoro, ce n’erano nuove varietà, nuove tecniche di conservazione e nuovi mercati. Un secolo dopo, il pomodoro italiano aveva già acquisito la sua fama, divenendo conosciuto e rinomato sia nel Belpaese che all’estero.
DOVE APPROFONDIRE?
“Taste and the tomato in Italy: a transatlantic history” di David Gentilcore, University of Leicester, United Kingdom.